Ilaria

A 18 anni mi sentivo già abbastanza completa, mi reputavo una persona molto in gamba e soprattutto mi sentivo fortunata e grata perchè non ero MAI sola: avevo una bella famiglia, molti amici ed infine ero follemente innamorata del mio fidanzato. In quel momento ero felice, mi sentivo in realtà come tutt* a 18 anni dovrebbero sentirsi. La verità è che tra tutte le persone che volevo diventare, mai avrei pensato di essere ora, fieramente, ciò che sono: una p*****a. Nel mio percorso di vita, troppe volte mi sono ritrovata a fare i conti solo con me stessa e, da sola, ho superato limiti e pregiudizi che nemmeno credevo di avere. 

Ricordo bene la prima violenza subita dal mio ragazzo: eravamo in macchina e stavamo litigando animatamente, l’aria era diventata cosi tesa che lo vidi sferrare un pugno sul cruscotto, il cui rumore fu succeduto da un silenzio assordante, interrotto dalle sue parole:” ho desiderato fossi tu”. Non mi fece paura,anzi, mi spinse semplicemente a continuare la nostra discussione in maniera  più animata, fin che non mi prese i capelli e li tirò forte verso di sè mentre gli chiedevo, per favore, di lasciarmi andare. Scesi dalla macchina in silenzio e tornai a casa cercando di capire cosa fosse successo e soprattutto perchè. Mi chiese perdono, mi disse che dovevamo smetterla di litigare e che mi amava tanto. Lo amavo anche io. L’ho amato per tanti anni:  l’ho amato anche in quel momento, in cui per la prima volta mi fece capire che lui non amava me, l’ho amato quando ha iniziato a pretendere quei pochi soldi settimanali che mia madre mi lasciava, lo amavo anche quando avevo paura di lui.  Tirai un sospiro di sollievo, forse avevo un po’ esagerato anche io. Alle mie amiche non raccontai nulla perché sarebbe stato giudicato male, alla fine è stato solo un momento di rabbia. Un momento. Fu un momento già due giorni dopo, quando mi sputò addosso. La mia vita diventò  una successione di terribili momenti fatti di percosse che mai lasciavano il segno sulla mia pelle; momenti ancor più opprimenti quando mi iscrissi all’università. Era geloso e aveva perso il suo potere di controllarmi, perciò iniziò ad odiarmi. La mattina, appena sveglia, non trovavo più il suo messaggio del buongiorno, ma avevo il telefono intasato di messaggi in cui mi accusava di tradimenti, cambiamenti e mancanze di rispetto e la cosa certa di tutti quei messaggi era la presenza della stessa parola, sempre  “pu***a”. Quando il fine settimana tornavo da lui, la nostra intimità diventava sporca e sbagliata: ogni volta notava un “miglioramento” e la conclusione era sempre la stessa :” sei diventata brava, ti sei esercitata molto questa settimana, mi fai schifo.Tu stai scopando, io con te faccio l’amore.”  Mi rivestivo e ogni volta tra me e me mi dicevo : ” l’amore non me lo ricordavo cosi. ” Capii che la violenza fisica non mi aveva  mai fatto realmente niente, il dolore e la vergogna li provavo ogni giorno con le sue umiliazioni.   Mi lasciò, rimasi sola e anche se sentivo di aver perso una delle cose certe della mia vita, con il passare del tempo, per quanto stessi soffrendo, mi resi conto che di certo c’era solo il dolore che mi stava arrecando. Quindi il dolore si trasformò, lentamente, in sollievo. Vorrei terminare qui la mia storia, dire che quel giorno mi liberai di una relazione violenta e che ora sto bene, ma non è cosi. Dopo circa un anno ebbi il mio primo rapporto occasionale con un mio amico. Non mi sarei mai aspettata di farlo, ma non mi pentii e un po’ ne avevo bisogno. Avevo bisogno che qualcuno non mi facesse sentire sporca.  Ci divertimmo e decidemmo di non parlarne con nessuno. Fin che, in un sabato sera di inverno, decise di confessare tutto al mio ex fidanzato. Quella sera fui umiliata pubblicamente dalla persona che per tre anni ho reputato l’amore della mia vita. Chiunque quel sabato sera si trovassei in quella piazza, venne a conoscenza di ciò che mi piace fare a letto,  di quello che sono brava a fare, delle mie perversioni e dei miei desideri. Ho anche ragione di pensare che girarono delle mie foto. C’erano tutti, mancavo io. Lo scoprii la mattina dopo, quando fui assalita da messaggi e chiamate terrificanti, mi arrivarono minacce, mi diceva che non mi sarei dovuta sentire al sicuro in nessun posto, mi avrebbe rovinato la vita ovunque. Mi mandò dei video dove bruciava e strappava le fotografie del mio viso, bucò i miei occhi e la mia bocca e si masturbò con quelle fotografie.  Quando sentii il ragazzo che aveva deciso la sera prima di confessare il mio “peccato” , l’unica cosa che riuscii a dire tra la nausea e il dolore che in quelle ore avevo subito, fu : “perchè?” la sua risposta mi geló il sangue :” Perchè mi ha fatto pena. Ieri sera mi ha parlato tutta la serata di te, è troppo innamorato e ho dovuto dirgli che tu invece non lo sei di lui. Si è lasciato prendere dalla gelosia e dalla rabbia per un momento. ” Un momento. Un altro. Ero sola, ed era colpa mia. Quel sabato lo classificai come il giorno della mia morte e della mia rinascita. Mi sono nascosta per la vergogna per circa un anno, ho cercato di costruirmi una vita altrove, ma ogni volta che tornavo dalla mia famiglia le stesse facce schifate mi guardavano come la persona che quella mattina con tanto odio mi dava della sporca pu****a. Cercavo conforto negli amici, ma mai nessuno mi credeva, non era da lui. “sarà successo qualcos’ altro ” mi dicevano.  E poi ero andata a letto con un altro, mentre lui si disperava per me. Cosa ero se non una putt**a? Era colpa mia, sì, e volevo rimediare. Non volevo più essere guardata dai ragazzi come una entità fatta di sola carne con cui soddisfare le pervesioni tanto decantate quella sera, non volevo essere più giudicata dalle altre ragazze della mia età come una persona senza valori. Mi resi conto, trovandomi nella solitudine più totale, che qualche tempo prima ero al loro posto, con loro giudicavo dall’alto della mia maturità chi si comportava diversamente da me. Capii che stavo cercando di pulirmi di un peccato mai commesso. Con difficoltà, ho ricominciato a camminare per strada a testa alta; forse sono davvero come mi hanno disegnata, ma non vorrei mai essere nient’altro. Avrei voluto essere capita, ascoltata, creduta. Sono stata vittima di queste mancanze in primis dal mio ragazzo, poi da me stessa e infine da chi mi circondava. Le ho trasformate in qualcosa da aggiungere ai miei valori di donna. Sono felice e sono una pu***na. Ho ancora grandi problemi a relazionarmi con altri ragazzi, ho paura di rivivere la prigione che cominciò con quella litigata in macchina e finì con le minacce. In più, nel raccontare il mio dolore quando ho provato a relazionarmi con qualche ragazzo mi sono sentita  rispondere sempre le stesse cose: ‘”avresti dovuto comportarti diversamente” . Ora un po’ sono fiera della mia cicatrice che mi ha costretta ad essere ciò che sono, nel bene e nel male, con la bella convinzione che io basto a me stessa. Lascio una foto di una piccola parte delle parole subite quel giorno infernale, solo uno dei tanti momenti di rabbia che ho sopportato ogni giorno per anni, con la convinzione che fossero sempre giustificati. Mi apro adesso, con la speranza che chi legga la mia storia abbia negli occhi l’espressione di supporto e non di odio e ribrezzo con cui forse sarò guardata per sempre. 

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