Finalmente sono a casa, sola. Nel mio posto sicuro, dove non mi può succedere nulla e la paura finisce. Rimane solo una scarica di adrenalina che mi segnala che il pericolo é passato. É quello che penso tutte le volte che torno da una trasferta di lavoro passata con lui. Un uomo, un padre, un diplomatico come piace chiamarlo alla nostra società. Eppure non mi da quella sensazione che dovrebbe darmi un padre, un uomo, un diplomatico. Sono finalmente a casa, dopo tre giorni infernali. Ha insistito tanto per accompagnarmi, e per prendere il mio stesso albergo, nonostante la sua casa, la sua famiglia e le sue figlie si trovino a 20 minuti dal luogo dove abbiamo lavorato. É stato il primo campanello di allarme, quello che ha iniziato a farmi passare la voglia di lasciare casa mia per prendere lo stipendio. Camere comunicanti. Mi manda messaggi chiedendomi se voglio lavorare in camera sua. Busso alla sua porta per andare a cena e mi dice di non aspettare fuori mentre finisce di prepararsi, ” entra dai, siediti sul letto che io ho quasi finito”. Mi dice ” sai che bella la nostra vita, sempre in giro liberi, nessuno sa nulla di ciò che ci accade”… Ma dove sta sta libertà ?Chissà cosa penseranno i tuoi familiari a pensare che sei in mezzo a questa stradina sperduta a lavorare con me. E poi quella risata. Quella risata lì che a me fa paura. La stessa che fa quando mi mostra la bistecca che ha mangiato l’altra sera. Che ha comprato, manipolato e mangiato. Mi dice che chiederà al capo di fare insieme anche la prossima trasferta. E di nuovo quelle frasi, quegli inviti, quelle risate. Io non rispondo, al massimo abbasso gli occhi e chiamo qualcuno al telefono. Ho paura. Ho paura di essere stata troppo socievole, di pensare sempre così maliziosamente, di essermi fatta troppo bella per andare a cena. Ho paura di parlare, di chiedere aiuto. Ma i pianti, quelli in camera di albergo, e il senso di libertà privata rimangono lì. Nello stomaco, insieme alla nausea al pensiero di doverlo rivedere anche domani mattina, prendere l’ascensore con lui e fare colazione, salire sulla sua auto e fare quella stradina buia e stretta, ricevere un suo messaggio e una sua chiamata. E quando la botta di adrenalina finisce perché é tutto finito, sono finalmente a casa provo a chiedere aiuto, consiglio… Il buio torna tutte le volte che mi dicono che avrei dovuto reggere il gioco, non avere paura ..anzi usalo per arrivare al tuo traguardo. Avresti dovuto fare così, avresti dovuto rispondergli, avresti dovuto…. Avrei dovuto lo so, ma non ci sono riuscita. Rimango immobile, al massimo abbasso gli occhi e chiamo qualcuno al telefono.