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Questa è una storia che inizia circa 30 anni fa, due adolescenti e poi un matrimonio. Due figli, ora grandi.

La storia d’amore tra lui e lei esiste da sempre, una di quelle storie nate giovanissime, in cui gli amanti sono i testimoni delle prime volte di tutto.

Dei primi baci, delle prime notti d’amore, dei primi figli, della prima casa, dei primi compromessi, delle prime incomprensioni, dei primi litigi. E se prima tutto era sopito, ora è esploso, da quando alla lista delle prime volte dobbiamo aggiungere la parola “tradimento”. Il primo tradimento. È curioso il modo che ha il destino di venire sotto forma di tempo. Se uno al momento del fatto che gli sta inevitabilmente stravolgendo la vita buttasse un occhio all’orologio, capirebbe che segna l’ora zero. E quel che è assurdo è che in quel momento un incontro, una notizia, una risposta, tua moglie che ha quel dubbio da mesi e decide di spiare il telefono, ci mostrano la sequenza degli eventi nel presente più immediato. Non ci dicono invece nulla sul futuro, non ci dicono cosa quell’uomo si sarebbe ritrovato a fare da lì in poi. E alla lista delle prima volte dobbiamo aggiungere: alcol, violenze, minacce, aggressioni verbali e a volte fisiche, soprusi, oppressione. Per lei una delusione infida e ghiacciata si era infilata tra le pieghe del suo destino facendo apparire l’immagine di lui esattamente com’era sempre stata e come lei aveva sempre voluto nascondere. Era scaduto il tempo dei compromessi, la luce già tiepida che illuminava quella storia si era spenta del tutto. Le cose hanno cominciato ad ammalarsi e come un circolo vizioso, le parole alcol, violenza, malessere, scusa, perdono, “sono mortificato”, alcol, violenza, malessere, scusa, perdono, “sono mortificato”, alcol, violenza, malessere, scusa, perdono, “sono mortificato”, hanno disegnato cerchi che in 3-4 anni si sono ripetuti milioni di volte. “E che ci vuoi fare”, dicevano, “lui è buono, non farebbe del male a una mosca”, “sei tu che devi accettare una scappatella, dopo tutti questi anni di matrimonio”. Oppure “vattene, prendi i tuoi figli e vattene”. Vattene, dicevano. Si, ma dove? Non esiste un posto dove essere totalmente al sicuro: “Eh ma adesso va meglio, quando non beve è una persona totalmente diversa”, “e io, io esagero, perché sono io che lo istigo, che lo faccio arrabbiare, che lo provoco”: non esiste un posto dove sentirsi totalmente al riparo, soprattutto quando ciò da cui dovresti fuggire sei tu.

E allora bisogna essere madri, spose, amanti ma anche brave al lavoro, efficienti, comprensive nelle relazioni persino coraggiose, forti, risolute. Per chi? Con chi? Perché?

In 72 ore si possono fare miliardi cose. Si può girare una città intera, si possono consumare 9 pasti completi e bere 6 litri d’acqua, fare circa 21 sbadigli, 30 starnuti. In 72 ore si possono fare grandi progetti per il futuro, prenotare biglietti di sola andata, bestemmiare perché sono 3 giorni che non esce il sole e siamo a giugno. In 3 giorni possono nascere circa 600.000 bambini e bambine nel mondo. Per vedere meglio sbattiamo le palpebre circa 34.500 volte in 72 ore. In 3 giorni nella nostra mente nascono circa 180.000 pensieri. Ecco, in 72 ore facciamo cose di cui nemmeno ci rendiamo conto; cose che non contiamo e di cui non abbiamo contezza. Ogni 72 ore in Italia poi c’è anche una donna che muore.

Ma nessuno vuole sapere cosa facesse prima, non è funzionale alla statistica sapere chi fosse, che vita avesse, se la sera prima di dormire pensasse alla sua giornata, se avesse voglia di cambiare lavoro o se quel contratto a tempo determinato sarebbe mai diventato un lavoro stabile. Non vogliono sapere se per sbaglio avesse dimenticato di andare a fare la spesa o di comprare quella cosa che sono giorni che sei sovrappensiero e te ne scordi. Non vogliono sapere cosa i vicini pensassero quando la sera al buio la vedevano spegnere la luce dalla finestra della camera da letto. Non vogliono sapere cosa pensasse quando aveva paura di vivere quella vita così al limite della vita stessa, sempre sospesa tra una minaccia e la prossima, tra un ricatto morale e il soffocamento, tra una boccata d’aria fresca e un’altra di veleno. Non vogliono sapere quanto si sentisse ricoperta di accuse insopportabili, di colpi bassi all’arsenico, di sensi di colpa, di umiliazione di negazione di sé, di disamore. Di malattia.